Lezioni di storia

Mercato Libero segnala oggi un’intervista sul Guardian a Paul Krugman. Da non perdere perchè, come sempre, il premio Nobel per l’economia, con la sua capacità di smontare i luoghi comuni, ci offre una visione non convenzionale e non “embedded” della situazione e delle prospettive della crisi.

Come quando, condendo l’apparentemente arida materia con un pò di ironia, che non guasta mai, si beffa dello stato confusionale in cui versano i repubblicani che attaccano l’amministrazione Obama per le indebite pressioni del Tesoro su Bank of America perchè concludesse l’acquisizione della ormai fallita Merrill Lynch, dimenticando che il misfatto avvenne sotto Bush ed ad opera del suo ministro Paulson.

Ma tant’è, chi non ricorda la favola del lupo che cercava ogni pretesto, pur di giustificare la sua intenzione di fare pranzo a base d’agnello? Ecco allora i nostri eroi vetero liberisti parlare di fallimento per il fatto che dopo quattro mesi di cura Obama il piano di stimoli fiscali non abbia ancora dato i suoi frutti, giacchè la disoccupazione stà ancora crescendo.

Un gioco da ragazzi per Paul Krugman, che pure non è stato tenero nemmeno con Obama e non gliel’ha di certo mandata a dire, dare una bella lezione di storia a questi quattro dinosauri citando proprio uno dei loro padri fondatori. A quanto pare se Obama non ha la bacchetta magica nemmeno il presidente Reagan la combinò poi tanto giusta se il tasso di disoccupazione continuò a salire per altri due anni dopo il via del suo programma di tagli fiscali!

Ma torniamo all’intervista. Il pensiero che tormenta Krugman, sono mesi ormai che continua a ripeterlo, è che corriamo il rischio di non uscire più da questa recessione, chiamando a sostegno dei suoi timori il parallelo con il “decennio perduto” del Giappone. L’intervistatore gli chiede da dove nasca il suo pessimismo: in fondo la situazione negli Stati Uniti e Gran Bretagna non è la stessa determinatasi in Giappone nei primi anni ’90. Sentite Krugman come argomenta il suo allarme che quello che è accaduto in Giappone possa accadere al mondo intero.

The thing about Japan, as with all of these cases, is how much people claim to know what happened, without having any evidence. What we do know is that recessions normally end everywhere because the monetary authority cuts interest rates a lot, and that gets things moving. And what we know in Japan was that eventually they cut their interest rates to zero and that wasn’t enough. And, so far, although we made the cuts faster than they did and cut them all the way to zero, it isn’t enough. We’ve hit that lower bound the same as they did. Now, everything after that is more or less speculation.

For example, were the problems with the Japanese banks the core problem? There are some stories about credit rationing, but they are not overwhelming. Certainly, when we look at the Japanese recovery, there was not a great surge of business investment. There was primarily a surge of exports. But was fixing the banks central to export growth?

In their case, the problems had a lot to do with demography. That made them a natural capital exporter, from older savers, and also made it harder for them to have enough demand. They also had one hell of a bubble in the 1980s and the wreckage left behind by that bubble – in their case a highly leveraged corporate sector – was and is a drag on the economy.

The size of the shock to our systems is going to be much bigger than what happened to Japan in the 1990s. They never had a freefall in their economy – a period when GDP declined by 3%, 4%. It is by no means clear that the underlying differences in the structure of the situation are significant. What we do know is that the zero bound is real. We know that there are situations in which ordinary monetary policy loses all traction. And we know that we’re in one now.

Già, spesso la gente parla delle cose senza conoscerle. Tutto quello che sappiamo è che in teoria le recessioni hanno fine quando le autorità tagliano di molto i tassi d’interesse, e basta questo per rimettere in moto le cose. Dal Giappone abbiamo imparato che questo non è stato sufficiente. Finora abbiamo tagliato i tassi più velocemente che in Giappone e fin quasi allo zero, e non è stato abbastanza. Ogni cosa avvenuta successivamente, quello che sta accadendo ora, è più o meno speculazione.

La misura dello shock cui è sottoposto il nostro sistema sta diventando molto più grande di quello che colpì il Giappone negli anni ’90. Loro non hanno avuto mai un’economia in caduta libera, un periodo in cui il Prodotto interno lordo è crollato del 3 o 4 per cento. Che ci siano delle differenze nei sistemi non è significativo. Quel che sappiamo è che la crescita zero è reale. Sappiamo che ci sono situazioni in cui le politiche monetarie perdono tutta la loro forza di trascinamento. Sappiamo che ci troviamo in una di queste situazioni.

E i segnali di ripresa? Krugman spera di sbagliarsi ma la domanda a cui rispondere è: da dove pensiamo venga questa ripresa? Non è facile dirlo se guardiamo a questi due ultimi anni nel loro complesso.

Who knows if the stockmarket makes sense or not? It was pricing in the possibility of an apocalypse a few months ago. That possibility seems to have receded, so it makes sense for the markets to come up, but that’s not saying that the economy is going to be great. If you do the comparison not with where they were three months ago, but where they were two years ago, then the markets still seem awfully depressed.

Chissà se i mercati azionari hanno o meno un senso? Pochi mesi fa sembrava l’apocalisse e questa possibilità sembra ora scongiurata, ma non c’è nulla che confermi che l’economia stia tornando ai livelli precedenti. Se comparate i listini azionari non con dove erano tre mesi fa, ma con due anni fa, allora i mercati sembrano ancora terribilmente depressi.

In conclusione, cosa vede dunque Paul Krugman dietro l’angolo? La “Nipponizzazione” dell’economia mondiale con qualche caso di “Argentinaficazione”, ovvero grappoli di paesi in default. Comunque non fermatevi qui, tutta l’intervista merita un’attenta lettura.

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Published by bernspan

A former employee of a bank that no longer exists. Un ex-dipendente di una Banca che non esiste più.

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